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L’annuncio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di imporre dazi progressivi alle importazioni statunitensi di lavatrici e pannelli solari appare, più che un provvedimento economico volto a rivitalizzare la produzione interna a stelle e strisce, un tentativo di uscire dallo stallo politico in cui versa la sua Amministrazione. Poche sembrano le conseguenze concrete di tale scelta, limitate alle aziende che negli USA esportano.
Le importazioni di pannelli solari (poco più di 10 miliardi di dollari nel 2016) e lavatrici (circa 1,5 miliardi) rappresentano infatti, rispettivamente, lo 0.5% e lo 0.1% dell’import complessivo di merci statunitense e, in entrambi i casi, il deficit USA è molto ampio (oltre 8 miliardi e oltre 1 miliardo), a testimoniare la scarsa competitività internazionale delle industrie americane.
La rilevanza del provvedimento cambia però per le aziende estere produttrici di lavatrici e pannelli solari, essendo gli USA uno dei maggiori mercati mondiali (assorbono il 20% circa dei pannelli e il 15% delle lavatrici), e per i paesi che le ospitano, in gran parte dell’area asiatica: Cina, Malesia, Corea del Sud, Giappone, Vietnam e Thailandia (oltre due pannelli solari su tre e tre lavatrici su quattro vengono da questi paesi).
Al netto dei fini prettamente politici interni - legati al sostegno dell’occupazione - l’introduzione dei dazi va quindi a inserirsi nella più ampia ridefinizione dei rapporti di forza commerciali tra Stati Uniti e Asia, di cui lavatrici e pannelli solari rappresentano il nuovo - e probabilmente non ultimo - casus belli e nel tentativo di Trump di dare segnali di vitalità e fermezza della propria politica economica, a fronte di vincoli sempre più stringenti all’effettiva implementazione dei suoi progetti.