La politica di coesione 2021-2027 tra vincoli di bilancio e nuove priorità

1 agosto 2019

Roberta Francescon

Nei negoziati in corso fra le istituzioni europee si registra una netta contrapposizione tra gli Stati che sostengono la necessità di concentrarsi, attraverso un bilancio sostenibile, sulle nuove priorità e sui settori che possono maggiormente supportare la competitività europea e quelli che chiedono risorse sufficienti per finanziare anche le politiche tradizionali come la politica agricola comune e la politica di coesione

 

Sono in pieno svolgimento i negoziati fra le istituzioni europee che daranno vita alla riforma della politica di coesione per il 2021-2027, ma le trattative non sono facili, anche perché sono strettamente connesse a quelle sul bilancio pluriennale dell’Unione europea. La programmazione per il 2021-2027 viene definita in un contesto caratterizzato da due fattori molto rilevanti. Il primo è rappresentato dalle nuove urgenze politiche come immigrazione, difesa esterna/terrorismo e sicurezza, alta disoccupazione, aumento delle disuguaglianze, ricerca e innovazione, economia digitale e giovani. L’altro fattore è, ovviamente, l’uscita del Regno Unito dall’Unione, ora fissata per il prossimo 31 ottobre, che vale circa 90 miliardi di euro di contributi nel settennato del ciclo di bilancio UE.

Il budget proposto dalla Commissione, che tiene conto dell'uscita del Regno Unito, ammonta complessivamente a 1.135 miliardi di euro di impegni (1.279 a prezzi correnti), pari all’1,11% del Reddito Nazionale Lordo dell’UE-27. Si registra pertanto un aumento delle risorse rispetto all’attuale quadro finanziario pluriennale 2014-2020 che prevedeva impegni per 960 miliardi di euro a prezzi costanti 2011 (1.083 a prezzi correnti). In termini relativi, considerando l’attuale RNL della UE-27, il budget risulta in lieve calo passando dall’1,16% del RNL nel ciclo 2014-2020 all’1,11% del RNL nella programmazione ora in avvio.

 
 
 
 

A fronte della mancata volontà degli Stati a incrementare i contributi, la Commissione propone di aumentare i finanziamenti in settori considerati prioritari e ad alto valore aggiunto europeo (ricerca e innovazione, giovani, migrazioni e gestione delle frontiere, clima e ambiente) e prefigura, parallelamente, una riduzione delle risorse per le cosiddette politiche tradizionali dell’UE (politica di coesione e politica agricola comune, che assorbono circa il 70% dell'attuale quadro finanziario pluriennale).

In particolare i settori che beneficerebbero di un incremento di risorse rispetto al quadro finanziario attuale sono: ricerca, innovazione e agenda digitale (+60%), giovani (in particolare, si prevede il raddoppio dei fondi Erasmus), migrazione e gestione delle frontiere (+155%), difesa e sicurezza interna (+127%), azione esterna (+22%), clima e ambiente (+70%).

 
 
 
 

Nell’ambito delle tradizionali politiche UE la politica agricola comune, in base alle stime della Commissione europea, subirebbe una riduzione del 5% a prezzi correnti rispetto al ciclo 2014-2020, mentre per la politica di coesione la stima del calo ammonterebbe al 6% (secondo il Parlamento europeo i tagli sarebbero sottostimati e ammonterebbero nel complesso al 10%). In dettaglio, a prezzi correnti, la dotazione del Fondo di coesione (che non riguarda l’Italia) si ridurrebbe da 63 a 47 miliardi di euro mentre quella del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) passerebbe da 199 miliardi a 226 miliardi di euro. Diversa, invece, è la situazione del Fondo sociale europeo (FSE), poiché la Commissione europea intende istituire un nuovo Fondo sociale europeo plus, che riunirà in sé una serie di fondi e di programmi esistenti, con uno stanziamento di 101 miliardi di euro.

Al fine di ridurre le disparità e di contribuire al recupero delle regioni a basso reddito e a bassa crescita, pur restando il PIL pro capite il criterio predominante per l'assegnazione dei fondi (con un peso dell’81%), vengono presi in considerazione nuovi criteri, quali disoccupazione giovanile e basso livello di istruzione (15%), cambiamenti climatici (1%) e accoglienza e integrazione dei migranti (3%).

Il nuovo metodo di allocazione comporterebbe una redistribuzione delle risorse dai Paesi dell'Est Europa (il cui PIL è cresciuto considerevolmente negli ultimi anni) ai Paesi del Sud (Italia, Grecia e Spagna). Per l'Italia, secondo le stime della Commissione europea, sembrerebbe esserci un aumento da 34 a 43,5 miliardi di euro a prezzi correnti (da 36,2 a 38,6 miliardi di euro a prezzi costanti 2018) rispetto alla dotazione 2014-2020.

 
 
 
 

Nel mese di giugno 2019, la Commissione europea ha invitato i leader dell'UE ad accelerare il ritmo dei negoziati allo scopo di raggiungere un accordo in autunno o comunque entro la fine dell'anno in modo da poter far partire i nuovi programmi all'inizio del 2021. Nell’ambito delle trattative si registra una netta divisione fra gli Stati membri che insistono per un bilancio che non vada oltre l'1% dell'RNL dei 27 Stati membri e che finanzi le nuove priorità e i settori che possono supportare maggiormente la competitività europea tramite maggiori tagli alle politiche tradizionali, come PAC e coesione, e gli Stati membri, tra cui l’Italia, che, invece, ritengono insufficiente il livello generale di ambizione espresso dalla Commissione europea e chiedono risorse sufficienti per finanziare non solo le nuove priorità (migrazioni, difesa, sicurezza) e i settori fondamentali per la competitività dell'UE (ricerca e innovazione, infrastrutture, digitale), ma anche le politiche tradizionali (politica agricola comune e politica di coesione), mantenendo le dotazioni di queste ultime al livello dell'attuale quadro finanziario 2014-2020.