Fra cento anni, d'altronde, pensavo giunta sulla soglia di casa, le donne non saranno più il sesso protetto. Logicamente condivideranno tutte le attività e tutti gli sforzi che una volta erano stati loro negati. [1]
A quella magica scadenza pronosticata da Virginia Woolf per ottenere “una stanza tutta per sé” mancano poco meno di otto anni. Il World Economic Forum ha recentemente stimato che saranno tuttavia necessari altri 135 anni per raggiungere l’uguaglianza di genere. L’attuale crisi economica ha gravato su questo bilancio, allungando di 36 anni la precedente previsione.
E se la parità di genere si allontana è anche perché “la stanza tutta per sé” in questi mesi non è stata solo la metafora di un’ambita parità di genere e indipendenza economica ma anche, in senso letterale, lo spazio negato dalla convivenza obbligata tra “smart working” e Didattica A Distanza. Se già in queste pagine avevamo raccontato l’impatto differenziato della crisi, la cosiddetta shecession, a conti fatti la disparità è stata in gran parte legata alla genitorialità. A consuntivo, nel 2020 il calo dell’occupazione femminile ha superato di un punto percentuale quello maschile (-2,5% rispetto a -1,5% tra gli uomini), ma la forbice si allarga in modo considerevole se si prendono in considerazione le donne con figli. Il divario più grande infatti si osserva tra i genitori di bambini in età prescolare (0-5 anni), sono il 5.3% le occupate in meno, a fronte del 2.4% dei padri.
Il carico dei lavori domestici e la gestione della scuola a distanza rappresentano un forte elemento di differenziazione di questa crisi rispetto alle precedenti, andando di fatto a esacerbare la disparità endemica del mercato del lavoro italiano. Per avere una misura di quanto il confinamento, la chiusura di scuole e servizi per l’infanzia e i compiti di cura e assistenza abbiano pesato sul divario di genere è utile confrontare le variazioni dei tassi di occupazione tra i generi durante le ultime recessioni (Figura 2). Negli anni delle crisi più “classiche”, emblematico il caso del 2012, ad una riduzione del tasso di occupazione dei padri era corrisposto un aumento del tasso di occupazione delle madri, occupate in gran parte in settori tradizionalmente anticiclici; nel 2020 i rapporti si invertono.
Ad una minore occupazione si accompagna anche una ridotta partecipazione al mercato del lavoro: dopo aver toccato un punto di minimo nel 2019, il divario tra tasso di attività maschile e femminile è tornato ad ampliarsi nel 2020. Il gap cresce nel totale della popolazione ma in particolare tra le donne giovani (15-29 anni) [2], e tra le madri. La penalità della maternità è evidente soprattutto tra le madri di figli piccoli, per le quali il divario con i padri è cresciuto sensibilmente nel 2020.
Un peso sproporzionato delle attività di cura, assistenza e gestione delle faccende domestiche ha acuito quindi i conflitti di equilibrio tra attività professionale e vita privata, soprattutto per le madri di figli piccoli [3] e in età scolare con impatti di lungo termine ancora incerti sulla partecipazione e sulle prospettive reddituali.
Tornando quindi alla “stanza tutta per sé”, se è certamente vero che tanto è stato fatto in questi 92 anni perché le donne condividano “tutte le attività e tutti gli sforzi che una volta erano stati loro negati”, la crisi pandemica ha messo in luce quante attività e quanti sforzi ricadano invece in modo sproporzionato sulle spalle delle donne.