È passato poco più di un mese da quando il governo di Pechino segnalava per la prima volta all’Organizzazione Mondiale della Sanità la diffusione di un nuovo Coronavirus nella città di Wuhan. Da allora le autorità cinesi in particolare, ma anche l’intera comunità internazionale, stanno cercando di arginare l’emergenza. Le criticità sul fronte sanitario arrivano peraltro in un momento complesso per il gigante asiatico la cui economia era in rallentamento da diversi trimestri. La Cina, infatti, ha chiuso il 2019 con la crescita più bassa dal 1990 (fig. 1).
Il Paese del dragone si era già affacciato al 2020 con una serie di profonde incertezze, tra cui quelle legate alla guerra commerciale con gli Stati Uniti, ormai in essere da circa due anni e che solo lo scorso gennaio ha trovato una qualche parziale ricomposizione [1].
L’ultima volta che il gigante asiatico è stato colpito da una crisi sanitaria così grave è stato in occasione della SARS nel 2002-2003 e in questi giorni non sono mancati parallelismi tra le due emergenze. Per quello che riguarda la crisi di inizio millennio, il bilancio dei principali analisti è stato meno drammatico di quanto le cronache di quei giorni facessero immaginare. Cosa aspettarsi per la nuova emergenza?
Per quanto si evidenzino delle similitudini tra la SARS e il Coronavirus, un parallelismo tra i due eventi in realtà non è del tutto possibile e quindi una stima degli effetti appare prematura. Ancor più le tempistiche dell’attuale emergenza non sono ancora chiare e definite e molto dipenderà dalla durata e diffusione del virus. Esistono per ora almeno quattro chiavi di lettura attraverso cui portare avanti il confronto.
Innanzitutto la Cina di oggi è diversa da quella del 2002, più attrezzata e consapevole nell'affrontare emergenze sanitarie, ma anche più integrata nell’economia mondiale. Il Paese asiatico pesava ai tempi della SARS il 9% dell’interscambio mondiale, oggi il 23% (fig.2). Lasciando alla medicina le valutazioni sanitarie è chiaro inoltre che i due virus appaiono diversi per velocità di diffusione e pericolosità e quindi differenti possono essere i loro effetti.
Altra questione non secondaria è il momento in cui si è diffuso il virus. L’epidemia è scoppiata proprio a ridosso del capodanno cinese, un momento in cui gli spostamenti all’interno della Cina (ma anche verso altri Paesi) coinvolgono un numero elevato di persone. Il capodanno lunare, inoltre, è un momento in cui si registra un tempo prolungato di fermo produttivo per la festività e che l’emergenza sanitaria sta dilatando con un impatto sui livelli di produzione.
Per quanto stimare l’impatto sia prematuro, un punto certo è che l’elevato grado di interazione della Cina (fig. 3) con l’economia mondiale amplificherà gli effetti di questa crisi, uscendo quindi dai confini nazionali e facendone una questione globale.
Per quello che riguarda l’Italia è utile comprendere qual è il grado di interazione tra l’Italia e la Cina, ad esempio in termini di scambi commerciali. Per avere un’idea di quanto l’Italia sia davvero “esposta” e in quali settori, occorre tuttavia considerare che questo aspetto costituisce solo un tassello di un complesso quadro di interazioni che costituiscono le relazioni tra due Paesi (es. turismo, esternalizzazioni produttive, filiere produttive, ...).
Il Paese del dragone rappresenta per l’Italia circa il 3% dell’export ed è l’origine di circa il 7% dell’import.
Dei circa 13 miliardi di euro di export italiano verso la Cina, il 29% è relativo a prodotti della Meccanica e il 17,6% a quelli del Sistema moda. Per entrambi i settori il colosso asiatico rappresenta oltre il 4% delle vendite oltre confine.
A questo si dovranno sommare anche gli effetti dei minori scambi “indiretti”, frutto dell’appartenenza del Paese alle filiere produttive mondiali. Utilizzando le matrici di input/output internazionali [3], si può calcolare, ad esempio, quanta parte dell’export di un Paese è costituito da valore aggiunto realizzato in un’altra economia (nel caso in questione in Cina).
La fig. 5 mostra che per l’Italia la percentuale di export costituito da valore aggiunto realizzato in Cina sia pari all’1,7%, mentre per il Giappone raggiunga il 2,5% e per il Vietnam tocchi quota 14%. Questi risultati sono legati non solo alle interazioni tra i Paesi ma anche al livello qualitativo dei prodotti. Il Vietnam, ad esempio, è di certo un Paese con maggior interazioni con la manifattura cinese, ma ha anche una produzione di qualità analoga.
In conclusione, nel breve termine, probabilmente, i settori a subire i contraccolpi più significativi potrebbero essere quelli dei beni del lusso, per i quali la Cina rappresenta un importante mercato, e l’automotive, visto il ruolo strategico che ricopre Wuhan, epicentro dell’epidemia, nella filiera auto, anche se non paragonabile per dimensioni con l’incidente di Fukushima in Giappone sia per la differente integrazione nelle filiere auto globali, sia per il mix di componenti scambiate.
Tuttavia, la rete di connessioni tra Cina e resto del mondo è così densa che se la crisi sanitaria non si risolverà in tempi rapidi, gli effetti sull’economia mondiale potrebbero essere di ingente portata. Sarà opportuno, dunque, aspettare come evolverà l’epidemia nelle prossime settimane per poter fare delle stime attendibili.