Andrea Dossena, Alessandra Lanza
Centrale nell’attuale dibattito sulla necessità di riavviare l’economia italiana cercando di limitare i rischi sanitari, oltre al tema delle riorganizzazioni dei modelli di produzione e di mobilità di lavoratori e merci, è l’individuazione delle attività economiche prioritarie da riavviare nella cosiddetta fase 2. Rilevanza economica assoluta dei settori, loro propensione all’export, localizzazione sul territorio nazionale sono alcune delle ipotesi, con declinazioni più o meno territoriali e più o meno espressione di specifici gruppi di portatori d’interesse, su cui, dalle task force governative alle amministrazioni locali, dalle associazioni confindustriali ai sindacati, su cui maggiormente si sta concentrando il dibattito.
L’approccio che proponiamo, che necessariamente andrà completato con valutazioni in merito alla rischiosità delle diverse professioni, si basa sulla classificazione delle attività economiche in logica di filiere produttive e sull’analisi dei network.
Prometeia ha ricostruito le filiere produttive (in tutto 12, a totale copertura dell’occupazione privata del paese) partendo dai microsettori dei principali prodotti/servizi destinati al mercato finale (es. abbigliamento, automobili, servizi turistici) e ricostruendo a ritroso, integrando i coefficienti di attivazione delle matrici Input-Output con valutazioni quali-quantitative, le diverse fasi produttive. Oltre ai microsettori produttori degli input fisici (materie prime e beni intermedi industriali), nelle filiere sono incorporati sia i microsettori dei servizi necessari al pieno funzionamento delle filiere stesse (progettazione, marketing, logistica, ecc.), sia quelli dei produttori dei beni strumentali prevalenti all’interno delle diverse filiere (macchine per l’industria tessile nella filiera moda), sia i canali distributivi, all’ingrosso e al dettaglio, necessari perché i prodotti finali raggiungano effettivamente il proprio mercato di riferimento.
Ogni filiera è composta da 4 fasi di lavorazione/servizi e ogni fase è costituita da attività che raggruppano i microsettori simili sia per legami con le fasi a monte e a valle, sia per caratteristiche tipiche dei microsettori (processi produttivi, categorie di output: es. componenti elettroniche, meccaniche, servizi a supporto della produzione). Ad esempio, la filiera agroalimentare vede in prima fase l’agricoltura e i grossisti di prodotti agricoli, in seconda la prima trasformazione dei prodotti agricoli (es. macellazione, molitura), i produttori di imballaggi per alimenti, i produttori di macchine per la lavorazione degli alimenti e l’imballaggio, i produttori di prodotti chimici per l’industria alimentare e delle bevande, in terza fase i produttori di prodotti alimentari finiti (pasta, birra, pet food, …) e in quarta la distribuzione (all’ingrosso e al dettaglio: GDO, web, punti vendita specializzati), la logistica e il trasporto di prodotti alimentari e i servizi di supporto alle imprese alimentari (certificazioni, marketing).
A partire da questa riclassificazione dei microsettori, se ne è valutata l’importanza adottando i principi della network analysis e dei grafi. Nel nostro caso, i microsettori rappresentano i nodi del network e i legami che ognuno di questi instaura con gli altri microsettori sono i collegamenti del network, in funzione della loro collocazione nelle filiere e nelle fasi all’interno di esse. Nell’analisi dei network, le misure più rilevanti fanno riferimento al grado di connessione dei nodi della rete, alle distanze tra i nodi, alla presenza di cluster o comunità. Nel nostro caso, abbiamo preso in considerazione come misura delle centralità dei singoli nodi i valori di eigenvector centrality, una misura, frequentemente utilizzata, della rilevanza relativa del singolo nodo per i collegamenti di tutto il network. Un nodo (microsettore), è tanto più centrale quanto più numerosi sono i suoi collegamenti (legami di filiera) con nodi (microsettori) a elevata centralità nel network. I valori di centralità indicano quindi quanto i singoli microsettori sono cruciali nell’abilitare la produzione dell’intero network, ovvero quanto la cancellazione di quel microsettore (ad esempio per la chiusura delle attività produttive) renderebbe problematici i collegamenti tra microsettori e filiere.
Nella figura 2, la rappresentazione grafica del network delle filiere (ottenuta con la libreria Igraph di Python, utilizzando l’algoritmo di visualizzazione di Kamada-Kawai) mette in evidenza, nelle “code”, i microsettori caratterizzanti singole filiere (es. automobili, abbigliamento, prodotti alimentari), che in quanto tali sono prevalentemente presenti all’interno di una sola filiera e hanno valori di centralità mediamente più bassi (in altri termini, la loro chiusura ha un impatto limitato sulle altre filiere del network), mentre avvicinandosi al centro si trovano i microsettori con valori maggiori di centralità, in quanto trasversali a più filiere (es. i grossisti di beni industriali intermedi) e, di conseguenza, con un ruolo di raccordo tra molti microsettori e tra filiere (al di là della loro dimensione, la loro chiusura avrebbe un impatto molto forte su molte sezioni del network).
Questo approccio, che ribadiamo dovrebbe essere accompagnato da una valutazione della rischiosità specifica di ogni attività, consentirebbe di evitare riattivazioni “monche” (es. sarebbe inutile riaprire la produzione di auto se non fosse riattivata anche la produzione di pneumatici, rivestimenti per interni, vetro piano, ecc.) e di valorizzare invece attività cruciali per singole filiere già attive per decreto (es. i prodotti chimici per l’industria agroalimentare) o che per la loro centralità nel network, indipendentemente dalla loro dimensione assoluta, massimizzerebbero l’abilitazione delle diverse filiere. Inoltre, potrebbe rappresentare uno strumento oggettivo a supporto della valutazione delle tante richieste di riapertura in deroga.
Tale metodologia è stata adottata nello studio “Back to Normal - Centralità delle attività economiche e impatto della loro riapertura”, realizzato con Giorgio Barba Navaretti, Giacomo Calzolari e Alberto Pozzolo, finalizzato a valutare gli effetti sul Pil italiano derivanti dalla riapertura di alcune branche dell’economia italiana.