Guerra commerciale Usa-Cina: un ruolo per le terre rare?

Guerra commerciale Usa-Cina: un ruolo per le terre rare?

13 luglio 2018

Stefano Sparacca

I nuovi dazi imposti dagli Usa includono minerali da cui dipende la produzione high-tech statunitense

 

L’amministrazione Trump ha recentemente annunciato un nuovo round di dazi contro la Cina, con tariffe del 10% su un ampio ventaglio di prodotti, dalle valigie al pesce, per un valore complessivo di 200 miliardi di dollari. La Cina ha immediatamente minacciato una risposta di pari intensità. Oltre alle tariffe, Pechino ha in mano altri strumenti di ritorsione quali la rinuncia ad acquisti di prodotti statunitensi (come gli aerei della Boeing), o l’intensificazione delle regolamentazioni per le imprese americane operative nel paese.

Ma una delle armi più strategiche in possesso della Cina è la sua capacità di intervenire sulle catene di approvvigionamento globale di materie prime cruciali per l’industria: tra di esse, di particolare rilevanza per le aziende high-tech statunitensi, vi sono senza dubbio le terre rare, un gruppo di 17 minerali (Ittrio, Praseodimio, Gadolinio, Cerio, Neodimio, per citarne alcuni), anch’essi oggetto delle misure tariffarie dell’amministrazione Trump,  utilizzati in gran parte nella produzione di prodotti elettronici (smartphone, televisori, componenti di veicoli elettrici o ibridi, magneti, catalizzatori,…) e nella tecnologia militare. La raffinazione di questi metalli è particolarmente complicata e costosa, e solo in Cina è implementata su larga scala. Secondo le statistiche dello US Geological Survey, nel 2017 la Cina ha prodotto quasi l’80% (poco più di 100 mila tonnellate) dell’intera offerta mondiale.

 
Fig: Principali produttori terre rare
Guerra commerciale Usa-Cina: un ruolo per le terre rare?
Fonte: United States Geological Survey
 

Gli Stati Uniti, come inevitabilmente anche il resto del mondo, sono fortemente dipendenti dall’export cinese di terre rare, che costituisce il 78% dei flussi complessivi verso il paese. In caso di escalation della guerra commerciale, Pechino potrebbe condizionare nel giro di poche ore il mercato globale di questi minerali, tagliando le esportazioni e spingendo i listini al rialzo. Una mossa che potrebbe mettere in seria difficoltà l’industria statunitense, anche perché una tariffa del 10% difficilmente potrà stimolare la produzione interna. 

Uno scenario simile, d’altre parte, venne già sperimentato tra il 2010 e il 2011, quando le autorità cinesi imposero un severo blocco alle esportazioni a seguito di una disputa diplomatica con il Giappone: una strozzatura dell’offerta che diede il via a un rally rialzista delle quotazioni di numerosi dei 17 metalli, come ad esempio per il Disprosio, salito dai 166 Us$/kg del 2009 ai quasi 1000 Us$/kg del 2011. 

Al momento, tuttavia, non si segnalano tensioni particolari sui prezzi, così come non sono ancora giunti commenti da parte della Association of China Rare Earth Industry (un’associazione industriale guidata dal governo cinese) sull’iniziativa statunitense. I timori legati alla guerra commerciale si vanno però a sommare ad un quadro dei fondamentali in cui già l’offerta fatica a tenere il passo della domanda, sostenuta, in primis, dall’automotive e dall’industria delle energie rinnovabili (consumatori intensivi di magneti al neodimio). Secondo diversi operatori si potrebbe quindi assistere a un rafforzamento delle quotazioni nei prossimi mesi.

Se da un lato le industrie high-tech hanno evidenziato negli anni più recenti una discreta capacità di adattare i processi produttivi ai picchi delle quotazioni grazie a una maggiore efficienza nell’utilizzo delle materie prime, dall’altro gli sforzi nella direzione di ridurre la dipendenza dall’output cinese non sembrano ancora aver dato risultati incisivi. Un quadro probabilmente destinato a persistere nel medio-periodo, anche alla luce degli investimenti, non solo nei processi produttivi, ma anche in capitale umano, operati dalla Cina per mantenere il proprio ruolo dominante.